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martedì 13 ottobre 2015

Jhon McEnroe - Sul serio. Frasi parte 3.

Frasi di Jhon McEnroe - Sul serio.

Solo al torneo di Wimbledon del '77 mi sentii abbastanza forte da fare serve and volley.

Il mio numero 15 del ranking fu confermato dalla mia posizione negli U.S. Open del 1978.
La mia schiena era ancora dolorante e per qualche ragione - ancora oggi non so perchè lo feci - durante un servizio ruotai il fianco.
Notai subito la differenza: quel movimento scioglieva la tensione e alleviava il dolore.


La prima volta che vidi Borg gli feci da raccattapalle.

Accadde a Forest Hills, durante gli U.S. Open del '71 o del '72.
Lui avrà avuto quindici o sedici anni e io ne avevo dodici o tredici.
Pensai che avesse l'aspetto di un divo: i capelli lunghi, la fascia, quell'ombra di barba lunga sul viso che otteneva non sbarbandosi per un paio di settimane, il completo della Fila con maglietta attillata e pantaloncini cortissimi.
Adoravo quel look!
Avrei dato qualsiasi cosa, a quei tempi, per avere una maglietta a righe della Fila; una giacca sportiva, poi, per me era un sogno.
Una volta arrivai al punto di scambiare metà del contenuto della mia valigia con una giacca sportiva della fila.
Era quasi della mia misura!




Nel gennaio del 1979 partecipai al Masters, al Madison Square Garden e battei Connors per la prima volta, anche se lui non portò a termine il match.

L'averlo battuto fu per me un traguardo importante, all’epoca il Masters era un torneo importantissimo: potevano parteciparvi solo i primi otto tennisti al mondo nel singolo e le prime quattro squadre nel doppio.

In quel periodo ci fu il boom delle discoteche: uno spettacolo incredibile fatto di musica assordante e luci psichedeliche, jeans e droghe di ogni tipo.

C'erano vip dappertutto: un tipo strano con la parrucca che si chiamavca Andy Warhol faceva fotografie a tutti.

Per la prima volta nella mia vita cominciai a guadagnare molto denaro: una delle prime cose che feci con i proventi dei tornei e i ricavi di un contratto pubblicitario firmato da mio padre con la Sergio Tacchini nel 1978, subito prima di diventare professionista, comprare una stupenda Mercedes cabrio blu a due posti.
Così perlomeno non facevo la figura dello sfigato quando seguivo Vitas allo Xenon.

A metà del 1979 comprai il mio primo appartamento: lo scelsi nell’Upper East Side.

Si trovava in un condominio e mi costò 350.000 dollari: una bella cifra , alla fine degli anni Settanta.

Mi capitava sempre più spesso di imbattermi in Richard Weisman.
La vera passione di Richard era collezionare persone.

Mi telefonava e diceva cose tipo: “Senti John, sabato do una festa: vengono Mick Jagger e il governatore di New York, ci sono anche Jacqueline Bisset e Jackie Stewart, il pilota”.

Per spiegare quanto sia ripida la discesa quando si è arrivati ai massimi livelli del tennis, una volta Arthur Ashe disse che nel ranking mondiale tra il numero dieci e il numero cinque c’è la stessa differenza che esiste tra il numero cento e il numero dieci.
Passare dal cinque al quattro, disse, è come passare dal dieci al cinque.

Ho la sensazione che il tennis sia diventato solo un’industria ormai priva della vitalità e della personalità che aveva un tempo.

Oggi sembra che tutti i tennisti della top ten viaggino in gruppo, con l’allenatore e qualcun altro che tiene loro la mano: un nutrizionista, un guru, un amico, un’amante.

Sono sempre stato il miglior allenatore di me stesso.

Dopo i miei accessi d’ira, l’argomento preferito da tutti gli intervistatori è la mia prima finale contro Borg a Wimbledon nel 1980, quella con il tie-break del quarto set che arrivò a trentaquattro punti.

Devi sempre combattere contro un pensiero fisso: sono una schiappa, non sono più la persona che ero, quando in realtà è possibile che tu sia addirittura diventato una persona migliore.

Incassai il colpo.
Sono fermamente convinto che una delle caratteristiche di un campione - di qualsiasi campione - sia la capacità di accettare le sconfitte e riacquistare subito la fiducia.


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