Frasi di Jhon McEnroe - Sul serio.
Nessuno conosce il proprio corpo meglio di un alteta professionista, sono consapevole che la macchina donatami dal Padreterno non è più flessibile come un tempo, che ho inevitabilmente perso qualche colpo.
Sto cercando di migliorare. Una delle cose contro cui lotto con maggior accanimento è quella parte profonda di me che non si è ancora decisa ad abbandonare la rabbia.
Perchè allora, sento ancora di poter fare molto?
Credo dipenda dalla mia tendenza a vedere il bicchiere mezzo vuoto.
Perdi la prospettiva, se ti paragoni a persone che sono fuori dalla tua portata o con cui non è il caso di paragonarti.
Anche il tennis aveva la sua importanza.
A quell’epoca era ancora uno sport da club privato, che si giocava in abiti bianchi.
Imparai molto presto che non serve imprimere troppa forza alla palla per vincere una partita di tennis: se sei in grado di rispondere a tutto, puoi battere praticamente chiunque.
In qualche modo riuscivo a percepire la palla attraverso le corde.
I miei genitori erano dotati di grande determinazione e sono convinto che me l’abbiano trasmessa geneticamente.
Come figlio primogenito di due persone che volevano avere successo nella vita, capii subito che i miei si aspettavano molto da me.
Ricordo ancora il mio primo torneo nazionale Under 12 a Chattanooga, nel Tennesse.
Il Tennessee!
Proprio come Laver usavo la stessa presa per ogni colpo: dritto, rovescio, servizio e volée. (Lo faccio ancora, leggermente verso il dritto dell’impugnatura continental. Credo non la usi più nessuno.)
Penso di essere l’unico tennista della storia che sia arrivato ai massimi livelli con le braccia delle stesse dimensioni.
Capii molto presto che c’erano dei grandi vantaggi a vincere, ma anche uno svantaggio da non sottovalutare: quando arrivi su quel piedistallo sei solo.
Larry era capace di giocare un match e andare ad allenarsi subito dopo!
Ma non sembrava mai felice dei suoi successi: era uno di quelli che raggiungono la vetta troppo in fretta e non si godono la scalata.
Riuscii a ottenere una wild card nel mio primo torneo da professionista.
Al primo turno sconfissi un mancino che si chaimava Barry Phillips-Moore, la cui fama è legata all’invenzione della racchetta spaghetti.
(Ve la ricordate quell’incordatura pazzesca? Alla fine però venne squalificata.)
Vinsi 6-0, 6-2: fu la mia prima vittoria in assoluto nel circuito ATP.
Poi giocai contro il neozelandese Onny Parun, un vero personaggio: portava una corda al collo, la mordeva mentre serviva e borbottava sempre tra sè e sè.
Non posso farmi battere da questo tizio, fa schifo, pensai.
Evidentemente non faceva cosi schifo, perchè persi 7-6, 6-1.
All’epoca era anche il numero diciotto del mondo.
Però i risultati furono abbastanza incoraggianti da farmi credere che forse, forse, avevo la stoffa del professionista.
E ottenni 5 punti nella classifica ATP solo per aver vinto un turno!
Alla fine dell’anno ero il numero 264 della classifica mondiale.
Poi ebbi un lampo di genio: tirai sempre sul suo rovescio.
E’ un trucco molto usato quando non si conosce il modo di giocare dell’avversario.
Ormai disperato, cominciai a mandare la palla sul suo dritto e , colpo di scena, il signor Machan non riusciva a fare un dritto neanche a morire.
Parigi nel ‘77 fu il mio primo vero assaggio della vita del tennista che vuole diventare famoso: non avevo mai visto nessuno mettercela tutta in quel modo.
Vinsi anche il secondo turno delle qualificazioni.
Intano, però, continuavo a rimuginare: devo trovare un hotel meno caro.
Conoscevo Lucia Romanov, una delle Romanov, le tenniste gemelle romene.
Parlava un pò di francese, perciò le chiesi di aiutarmi.
Che Dio la benedica: ce la mise tutta e alla fine trovò un hotel che costava circa tre dollari a notte.
Mi presentai in campo senza neanche un’ora di sonno, e per miracolo (uno dei tanti miracoli della gioventù) riuscii a battere il mio avversario, il tipico terraiolo spagnolo.
Ero nel tabellone principale!
All’improvviso mi si accese una lampadina in testa: se si entrava nel tabellone principale, si ricevevano sessanta dollari al giorno come rimborso spese.
Scossi la testa, incredulo.
Avevo vinto una partita del Grande Slam a diciotto anni!”
Nessuno conosce il proprio corpo meglio di un alteta professionista, sono consapevole che la macchina donatami dal Padreterno non è più flessibile come un tempo, che ho inevitabilmente perso qualche colpo.
Sto cercando di migliorare. Una delle cose contro cui lotto con maggior accanimento è quella parte profonda di me che non si è ancora decisa ad abbandonare la rabbia.
Perchè allora, sento ancora di poter fare molto?
Credo dipenda dalla mia tendenza a vedere il bicchiere mezzo vuoto.
Perdi la prospettiva, se ti paragoni a persone che sono fuori dalla tua portata o con cui non è il caso di paragonarti.
Anche il tennis aveva la sua importanza.
A quell’epoca era ancora uno sport da club privato, che si giocava in abiti bianchi.
Imparai molto presto che non serve imprimere troppa forza alla palla per vincere una partita di tennis: se sei in grado di rispondere a tutto, puoi battere praticamente chiunque.
In qualche modo riuscivo a percepire la palla attraverso le corde.
I miei genitori erano dotati di grande determinazione e sono convinto che me l’abbiano trasmessa geneticamente.
Come figlio primogenito di due persone che volevano avere successo nella vita, capii subito che i miei si aspettavano molto da me.
Ricordo ancora il mio primo torneo nazionale Under 12 a Chattanooga, nel Tennesse.
Il Tennessee!
Proprio come Laver usavo la stessa presa per ogni colpo: dritto, rovescio, servizio e volée. (Lo faccio ancora, leggermente verso il dritto dell’impugnatura continental. Credo non la usi più nessuno.)
Penso di essere l’unico tennista della storia che sia arrivato ai massimi livelli con le braccia delle stesse dimensioni.
Capii molto presto che c’erano dei grandi vantaggi a vincere, ma anche uno svantaggio da non sottovalutare: quando arrivi su quel piedistallo sei solo.
Larry era capace di giocare un match e andare ad allenarsi subito dopo!
Ma non sembrava mai felice dei suoi successi: era uno di quelli che raggiungono la vetta troppo in fretta e non si godono la scalata.
Riuscii a ottenere una wild card nel mio primo torneo da professionista.
Al primo turno sconfissi un mancino che si chaimava Barry Phillips-Moore, la cui fama è legata all’invenzione della racchetta spaghetti.
(Ve la ricordate quell’incordatura pazzesca? Alla fine però venne squalificata.)
Vinsi 6-0, 6-2: fu la mia prima vittoria in assoluto nel circuito ATP.
Poi giocai contro il neozelandese Onny Parun, un vero personaggio: portava una corda al collo, la mordeva mentre serviva e borbottava sempre tra sè e sè.
Non posso farmi battere da questo tizio, fa schifo, pensai.
Evidentemente non faceva cosi schifo, perchè persi 7-6, 6-1.
All’epoca era anche il numero diciotto del mondo.
Però i risultati furono abbastanza incoraggianti da farmi credere che forse, forse, avevo la stoffa del professionista.
E ottenni 5 punti nella classifica ATP solo per aver vinto un turno!
Alla fine dell’anno ero il numero 264 della classifica mondiale.
Poi ebbi un lampo di genio: tirai sempre sul suo rovescio.
E’ un trucco molto usato quando non si conosce il modo di giocare dell’avversario.
Ormai disperato, cominciai a mandare la palla sul suo dritto e , colpo di scena, il signor Machan non riusciva a fare un dritto neanche a morire.
Parigi nel ‘77 fu il mio primo vero assaggio della vita del tennista che vuole diventare famoso: non avevo mai visto nessuno mettercela tutta in quel modo.
Vinsi anche il secondo turno delle qualificazioni.
Intano, però, continuavo a rimuginare: devo trovare un hotel meno caro.
Conoscevo Lucia Romanov, una delle Romanov, le tenniste gemelle romene.
Parlava un pò di francese, perciò le chiesi di aiutarmi.
Che Dio la benedica: ce la mise tutta e alla fine trovò un hotel che costava circa tre dollari a notte.
Mi presentai in campo senza neanche un’ora di sonno, e per miracolo (uno dei tanti miracoli della gioventù) riuscii a battere il mio avversario, il tipico terraiolo spagnolo.
Ero nel tabellone principale!
All’improvviso mi si accese una lampadina in testa: se si entrava nel tabellone principale, si ricevevano sessanta dollari al giorno come rimborso spese.
Scossi la testa, incredulo.
Avevo vinto una partita del Grande Slam a diciotto anni!”
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