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mercoledì 10 maggio 2017

Perseverare è umano: Pietro Trabucchi. La regola delle 10.000 ore. Impegno, talento, motivazione.

Impegno, talento, motivazione.

Il primo grande demotivatore: il mito del talento.

Tutto ciò che siamo è il risultato di ciò che abbiamo pensato. Gautama Buddha.

Recandosi la domenica in un centro commerciale si può assistere al naufragio dell’umanità.

Non saprei definire in altro modo un certo tipo umano sempre più diffuso nella nostra società, il cui comportamento è caratterizzato da passività, apatia e disinteresse totale verso il mondo esterno, fatta eccezione per il consumo dei beni.

Sono gli effetti lontani di una cultura che rende gli individui passivi, perchè celebra con la massima forza concetti fuorvianti come il “talento”, insieme al suo braccio “scientifico”: la genetica-da-rotocalco.

Credere ciecamente che il nostro destino sia determinato esclusivamente dai geni o dalle predisposizioni naturali conduce alla passività e alla rassegnazione.

Se per esempio definiamo qualcuno “non portato per la matematica” gli stiamo implicitamente dicendo due cose: la prima è che se va male in matematica la colpa non è del tutto sua, perchè non ha ricevuto nessun dono a questo proposito.

La seconda è che d’ora in avanti può evitare di impegnarsi per cambiare la situazione, perchè essa non è modificabile per definizione.

Questa mentalità è dura da estirpare perchè i suoi vantaggi a breve termine sono notevoli: de-responsabilizzazione e fuga dalla fatica dell’impegno.
Il problema sono gli svantaggi sul lungo periodo.

Nel tempo, gli svantaggi consistono nel fatto di crearsi una serie di limiti e di barriere autoindotte.

La credenza che tutto sia geneticamente determinato e che le nostre capacità siano determinate dal possesso del talento funziona come una sorta di impotenza appresa: sul piano comportamentale conduce alla passività e alla rassegnazione.


Ci protegge dallo sforzo di compiere una serie di attività e di porsi degli obiettivi, ma alla lunga ci danneggia perchè limita il nostro campo di possibilità.

La regola delle diecimila ore.
La regola delle diecimila ore è stata applicata persino alla biografia di personaggi universalmente riconosciuti come dei geni, vale a dire dotati di capacità naturali superiori.

La carriera di uno di questi, il genio per antonomasia, Wolfang Amadeus Mozart, è stata analizzata dallo psicologo e Michael How, nel libro ”Anatomia del genio”.
Ebbene, secondo Howe la composizione in cui Mozart dimostra per la prima volta in maniera “indubitabile” il suo genio è il concerto n° 9 K 271.
Quando lo scrive, Mozart si stava dedicando alla composizione già da 10 anni, impegnandosi certamente più di tre ore al giorno: dunque aveva già passato ampiamente le diecimila ore di esercizio.

E’ molto comune nel mondo sportivo vedere atleti che si allenano in modo adempitivo, cioè come se stessero svolgendo un compitino obbligato.

“Come il semplice fatto di vivere in una caverna non ti rende un geologo, così non tutte le pratiche di rendono davvero perfetto.
Per sviluppare una padronanza in una determinata prestazione, hai bisogno di un particolare tipo di pratica: la pratica intenzionale.
Perlopiù le persone quando si esercitano si focalizzano su quello che sanno già fare.
La pratica intenzionale è differente.
Essa richiede un considerevole, specifico e continuo sforzo per fare qualcosa che non sai fare bene, o addirittura non sai fare per nulla.”


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