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giovedì 20 aprile 2017

Perseverare è umano: Pietro Trabucchi. Resilienza e motivazione. Capitolo 1.

Parte prima:
Resilienza e motivazione.

Errare è umano, perseverare è diabolico.
Proverbio popolare fuorviante.

Al contrario di quello che sostiene il noto detto, perseverare non è diabolico: è umano.
Diabolico è rinunciare a impegnarsi, rimanere immobili, mettersi ad aspettare che la motivazione arrivi dall’esterno.

Se impegno e motivazione mettono in grado di raggiungere risultati straordinari, diabolico è sprecare questa opportunità.

La motivazione viene percepita sempre di più come qualcosa di esterno: qualcosa che non ci si può dare da soli, che si ha quasi per caso.
Che dipende da incentivi, dall’essere fortunati o dalla volontà altrui.

Finisce che il luogo del controllo è sempre esterno: se sei nato cosi con queste caratteristiche, a che pro lottare per cambiare la situazione?
Se per la corsa o per quella attività “non sei portato”, oppure sei di quel segno zodiacale che non è adatto, o se non hai il gene giusto, perchè continui ad affannarti?
Se sei furbo aspetti la fortuna, la spintarella, il cambiamento di vento.
Nel frattempo è inutile stancarsi.

La scomparsa dell’impegno lascia spazio all’adorazione delle scorciatoie: abbiamo una pillola per raggiungere senza fatica qualsiasi obiettivo, da oggi perfino la crema per dimagrire mentre si dorme.

Il prodotto finale di questo modo di pensare sono passività ed apatia.
Soprattutto nelle nuove generazioni.
Allevate con questa mentalità, non rimane altro destino per le nuove generazioni che crescere come buoni e docili consumatori.
Una sorta di schiavitù edulcorata.

Il concetto di “resilienza”.
La resilienza è la capacità di persistere, di far durare la motivazione nonostante gli ostacoli e le difficoltà.

Due parole sul termine “cognitivo”.
E’ importante evitare di cadere in certi equivoci.
Cambiare la propria percezione del mondo non significa crearsi illusioni o raccontarsi menzogne.
Significa, al contrario, diminuire il tasso di falsità, inesattezza o distorsione con cui costantemente leggiamo la realtà.

Attraverso continue endovene di vittimismo, ci si consola del fatto che il mondo è cattivo e non ci merita, e che quindi non abbiamo alcuna responsabilità.

Per duemila anni in occidente abbiamo vissuto con la falsa credenza che "mente" e "corpo" fossero separati.
Oggi sappiamo che non è così.
I pensieri influenzano il funzionamento del corpo e viceversa.


Mi ha sempre colpito il fatto che quando dobbiamo pensare alla massima espressione sportiva, la maggior parte di noi indica la finale olimpica dei cento metri: la suprema manifestazione di potenza e velocità.
Eppure, la nostra specie è poco adatta a quel tipo di prestazioni.
Un leone affamato impiegherebbe meno di venti secondi a raggiungere Usain Bolt, l’uomo più veloce del pianeta.


Altro che sprint: la specie umana è molto lenta se consideriamo la velocità massima su brevi distanze.
Ma indubbiamente l’uomo è l’animale più resistente (in senso fisico) sulla faccia della terra: quello capace, cioè, di tenere una bassa velocità per un tempo maggiore.

Mantenere la motivazione è una disciplina, è esercizio, richiede risorse.
La motivazione non è equiparabile al desiderio: o per lo meno non è solo questo.
E’ anche abitudine a mantenere il disagio, a sopportare.
Parte del nostro cervello si è sviluppata per permetterci questo.

1.2 La lezione.

Ci sono tre grandi cose al mondo: gli oceani, le montagne e una persona motivata (Winston Churchill).

La persuasione verbale non basta a motivare le persone.
Per lo meno non in contesti dove la posta in gioco diventa alta in termini di sacrifici e rinunce personali.

Ciò che insegna l’università è spesso una generalizzazione di comportamenti osservati in contesti sperimentali, oppure il retaggio di teorie filosofiche sull’agire umano o di modelli assolutamente astratti.

Ma altrettanto deludente mi pareva l’applicazione di metodologie apparentemente più pratiche, insegnate spesso ai venditori o nelle aziende.
Provate ad applicare la programmazione neurolinguistica o tecniche simili a persone furiose perchè immobilizzate da giorni in tenda e costrette a razionare il cibo.

E’ importante sgombrare il campo da una serie di leggende intorno al concetto di "motivazione".

Queste leggende sono essenzialmente tre: il mito del talento, la sopravvalutazione degli incentivi e delle spinte esterne alla volontà dell’individuo, e infine la favola dei motivatori.


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